Il Coaching per gli allenatori. Sfatiamo il pregiudizio e utilizziamolo con meno imbarazzo.
Siamo abituati a pensare di doverci prendere cura degli atleti, di analizzare il loro bisogno e di aiutarli a soddisfarlo. Abbiamo le idee abbastanza chiare sul fatto che la salute mentale dell’atleta è condizione indispensabile perché egli o ella possano rendere meglio anche dal punto di vista fisico e possano massimizzare il loro rendimento. Fin qui direi che è lapalissiano e condivisibile. Un aspetto invece meno noto del coaching sportivo è quello che, invece, prende in considerazione la figura dell’allenatore. Probabilmente la maggior parte della collettività ha una visione dell’allenatore come soggetto che tutto conosce, che ha navigato il mare di tutte le difficoltà e che ha una tempra indistruttibile; ma la realtà dei fatti è molto diversa ed il carico emotivo di un allenatore non solo assomiglia a quello dei suoi atleti ma sovente lo supera di molto. Pensate a quanti tipi di problematiche deve affrontare un allenatore rispetto al suo atleta che deve solo pensare ad allenarsi e a rendere bene in gara. Ci sono allenatori che sono ex atleti e spesso non riescono a svestirsi dei vecchi panni intraprendendo un ruolo completamente diverso e che richiede tutt’altro tipo di competenze, soprattutto relazionali. Ci sono allenatori a cui viene accollato tutto il carico di responsabilità di gestione della squadra da parte di dirigenti che hanno investito soldi nell’attività e pretendono un ritorno immediato in termini economici e di notorietà. Ci sono allenatori che devono avere a che fare tutti i giorni con atleti di grande personalità e magari di presunzione se sono anche di alto livello o addirittura famosi. Ci sono allenatori che dedicano al loro lavoro tantissime ore al giorno sacrificando la loro vita privata e familiare. Ci sono allenatori con la valigia sempre pronta a rischio di esonero perché l’ambiente esterno li tiene sempre “sulla corda” aspettando il loro minimo errore per cercare di trovare un capro espiatorio. Potrei ancora andare avanti ma tutti questi esempi sono la prova che non sempre la vita di un allenatore è tutta rose e fiori ma spesso, soprattutto se lavorano in contesti molto richiedenti, non lo è affatto. Certo se parliamo di quei pochi allenatori che guadagnano fior di quattrini il disagio può essere lenito un pochino, ma anche gli allenatori sono umani e come i loro atleti provano tutta una serie di sofferenze e di disagi. E qui sta l’elemento cruciale, gli allenatori in linea di massima possono sopportare che i loro atleti si rivolgano ad un mental coach ma poco si avvicinano e se lo fanno sono comunque molto di diffidenti all’idea di essere loro primi utilizzatori di mental coaching. E’ quasi come se un allenatore che decidesse di farsi aiutare sancisse un suo deficit di capacità dichiarando al mondo di non essere abbastanza competente per cavarsela da solo. In realtà la pratica di coaching insieme ad un allenatore è totalmente differente rispetto a quella che si può fare con un atleta. Nel primo caso si affronta di più la tematica della leadership, della motivazione e della gestione rispetto al secondo in cui si parla più di una performance diretta che riguarda principalmente gli atleti. In ultimo vorrei dire, come nelle precedenti disquisizioni sulla necessità di fare una formazione continua , che sarebbe una buona strategia per le società sportive indirizzare i tecnici e non solo gli atleti verso pratiche di coaching, sempre volgendo un occhio di riguardo al processo di efficientamento totale che una società sportiva deve porsi come obiettivo primario. Ah dimenticavo! E il Coaching per i dirigenti…? Altro argomento delicato ne parleremo prossimamente. Promesso!
Ezio Dau


