L’importanza dell’imperfezione. Sbagliando si crea.
Intelligenza non è non commettere errori ma scoprire subito il modo di trarne profitto (Bertolt Brecht).
Mi sto sempre più rendendo conto che la tolleranza verso l’errore si riduce costantemente. Mi sono fatto l’idea che questo accesso infinito alle informazioni che la tecnologia ci ha regalato ci abbia però tolto la possibilità di accettare eventuali errori commessi. Non è perdonabile nessun tipo di errore. Se questo è l’attuale concetto di approccio alle esperienze che la vita ci propone allora abbiamo ben poco da apprendere. Gli obiettivi sono tutti orientati al risultato e non al processo, devono essere conseguiti nel minor tempo possibile, le risorse devono essere tutte a disposizione altrimenti i risultati sono compromessi. Ma se tutto è già così programmabile in precedenza e con scarsissimo margine di errore, allora dove la mettiamo la componente umana? Di tutti gli aspetti legati al talento, al lavoro e alla creatività che ce ne facciamo? Che bisogno abbiamo di competenza se abbiamo un aiuto esterno per tutto quello che facciamo? Per fortuna la realtà è ben diversa e per cui non mi spacco il cervello a trovare delle risposte adeguate. La verità è che gli errori, commessi durante i nostri percorsi sono dei veri e propri campanelli d’allarme. Certo ci indicano solo ciò che non dobbiamo ripetere e non ci risolvono da soli tutti i problemi ma di per sé sono comunque una risorsa a cui possiamo attingere. Come ci dobbiamo porre al cospetto dei nostri errori e di qualche piccolo fallimento? Questa è una bella domanda a cui proverò a rispondere. Sicuramente non fa piacere commettere errori e questo è lapalissiano, ciò nonostante abbiamo il dovere di accoglierli con la giusta considerazione e prenderli in carica. L’approfondita analisi di un errore appena commesso è il primo passo per riprogettare qualcosa che ci siamo precedentemente prefissati. Ma allora perché ammettere i propri errori fa così paura e imbarazza? Probabilmente proprio perché i modelli (finti aggiungerei) che oggi internet e i social network ci propongono vanno verso un’immagine di perfezione che poco ha a che vedere con la vita reale. La maggior parte delle persone, soprattutto i più giovani, non ha un bel rapporto con la fallibilità e quindi tende a negarla considerandola come un grande segno di debolezza. Questo è quello che emerge, per esempio, quando faccio coaching con persone ancora giovani ed inesperte. Io invece attribuisco un valore agli errori e credo che i fallimenti o gli inciampi del nostro percorso di vita siano solo transitori e non riesco a vederli come dei fenomeni negativi irreversibili. E’ chiaro che per accogliere questo tipo di pensiero bisogna essersi fortificati attraverso l’esperienza ma ciò non toglie che possiamo usare questo strumento come mezzo educativo per chi quest’esperienza non ha ancora avuto il tempo di farla. Trovo che sia una pratica molto gratificante quando si ha la competenza di maneggiarla con cura. Oggi il valore che voglio condividere con voi è l’accoglienza delle nostre fragilità con la consapevolezza che ognuno di noi ha le sue, le deve riconoscere ed anche valorizzare.
Ezio Dau


