L’allenamento mentale, una risorsa riconosciuta ma poco utilizzata.
Oggi voglio soffermarmi un po’ di più sugli atleti che praticano sport agonistico con velleità di ottenere risultati di successo. Quante volte abbiamo sentito dire di un atleta: “ …è bravo e talentuoso ma non otterrà mai grandi risultati perché non ha la testa!”. Ma che vuol dire che non ha la testa? Ma che superficialità c’è in un’affermazione del genere? Partiamo dal principio che la teoria spicciola la conosciamo bene e se chiediamo un po’ in giro quasi tutti sono d’accordo che l’aspetto mentale incide non poco sulla prestazione. Non voglio soffermarmi a dire se è più importante l’aspetto fisico o quello mentale perché è questione di lana caprina. Ci sono atleti che fanno della fisicità la loro forza primaria mentre in alcune discipline l’aspetto mentale a volte è prioritario. Possiamo, però, con certezza affermare che l’atleta forte sia fisicamente che mentalmente è quello destinato a primeggiare. Possiamo anche dire che la testa è come la centralina elettronica di un mezzo a motore e senza lo “starter” il motore non si avvia. A questo punto vorrei arrivare al nocciolo della questione. L’aspetto mentale non è un dono divino. Si allena né più né meno come quello fisico, dedicandogli adeguata attenzione e adeguate risorse sia in termini di tempo che anche economiche. Ed è per questo che rimango stupito che la maggior parte delle società sportive con in testa dirigenti ed allenatori “illuminati” non prevedano quasi mai all’interno dello staff delle figure stabili che siano di sostegno agli atleti in modo tale da poter integrare l’allenamento mentale con quello fisico, che all’atleta viene somministrato comunemente. Le criticità sono tante. A volte quando un atleta non ottiene risultati lo si manda dallo psicologo come fosse necessario mandarlo in terapia ed ovviamente l’atleta mal tollera questo tipo di imposizione, in primis perché non ha le percezione di essere malato e magari si sente solamente bloccato e confuso. Poi ci sono i guru delle soluzioni preconfezionate i “motivatori” (terminologia che mi fa venire i brividi visto che mi occupo di coaching a livello professionale) che promettono risultati dispensando consigli a destra e a manca confidando nell’ingenuità degli atleti e speculando sulle loro fragilità, con la promessa di poter infondere la motivazione così come fossero davanti alla fonte battesimale . L’allenamento mentale e di conseguenza il coaching (quello vero) che reputo lo strumento più adeguato per seguire un atleta sano durante la sua stagione sportiva, richiedono programmazione, come si fa per l’allenamento fisico e si basa principalmente sulla relazione tra l’atleta e il coach che ha la responsabilità di farne emergere tutte le potenzialità che già sono a sua disposizione. Ad oggi, almeno in Italia, siamo ancora lontani dall’aver assimilato questo concetto. Io mi reputo fortunato perché lavoro con società sportive che non solo mi hanno dato fiducia affidandomi i loro staff ed i loro atleti, ma mi permettono di lavorare con i loro settori giovanili, ambienti in cui mi piace molto operare nella ricerca del talento e della performance ottimale. Mi auguro che sia d’esempio per molte altre realtà sportive, affinché mettano al centro dell’attenzione la salute fisica e mentale degli atleti e non solo. Se c’è quella in qualche modo le soddisfazioni arriveranno. Qualcuno di voi vuole esprimere una sua opinione a riguardo? Condividete su questo tipo di opportunità da fornire agli atleti oppure pensate che sia solo una ridondanza rispetto alla comune gestione di una società sportiva?
Ezio Dau


