Il piano d’azione. Un viaggio dal sogno all’obiettivo concreto.
Quando mi trovo a lavorare con un coachee, tendo sempre a fare una domanda prima di cominciare il percorso di coaching, che è quella di definirmi cos’è per lui o per lei il significato di obiettivo. Tendenzialmente la risposta è quasi sempre la stessa e cioè che l’obiettivo è legato al loro sogno o desiderio che magari coltivano fin dalla giovane età. Io non sono molto d’accordo. Secondo me c’è una bella differenza tra quello che desideriamo e l’obiettivo che ci vogliamo prefiggere. La differenza tra il desiderio e l’obiettivo si chiama “PIANO D’AZIONE”. Proviamo allora a dare una figura a questo percorso. Usando una comune metafora possiamo affermare che il piano d’azione è un viaggio che ci porta da un punto di partenza (il sogno) ad un punto di arrivo (l’obiettivo). Che dire di questo viaggio? E’ sempre un bel viaggio con un percorso lineare e godibile? La prima risposta che mi viene di getto è “quasi mai”. O meglio, dipende dall’obiettivo, più esso è sfidante e richiedente per essere raggiunto, più questo viaggio sarà tortuoso e faticoso. Ovviamente quando l’obiettivo è raggiunto maggiore è la soddisfazione se davvero questo viaggio è stato duro da intraprendere. Parlando dell’obiettivo mi viene da pensare a quanto non sia facile stabilire un obiettivo raggiungibile. E’ davvero difficile cadere nella trappola di lasciarsi attrarre da obiettivi che difficilmente sono alla nostra portata. Questo accade perché i condizionamenti del campo esterno che ci circonda sempre più inquinano il nostro modo di essere coerenti con le nostre potenzialità. Un buon coach aiuta il suo cliente a formulare obiettivi che siano specifici e misurabili, che siano raggiungibili, che siano concentrati in un limite di tempo e che soprattutto rispondano ai nostri valori e siano in linea con altri obiettivi già raggiunti. Dico questo per sottolineare come la nostra figura di coach non deve mai sostituirsi al suo coachee prendendo il suo posto nella costruzione del piano di azione. Questo è un errore che spesso condiziona e rovina la sana relazione che si crea tra il coach ed il suo coachee. Trovare soluzioni per il cliente non lo aiuta di certo a mettere in atto il suo processo di crescita personale e a far emergere il suo talento. Un altro aspetto che vorrei portare alla vostra attenzione è che può succedere che durante il percorso ci sia necessità di cambiare l’obiettivo e conseguentemente il piano d’azione. Questo può accadere per mille motivi, pensate ad uno stop per un infortunio di un atleta, oppure quando qualcuno deve interrompere la propria attività per motivi personali. L’importante è che nel percorso di coaching si viva la quotidianità e le si dia valore. Come lo facciamo? Per esempio spezzettando l’obiettivo finale in tanti piccoli obiettivi intermedi che ci permettano di avere riferimenti vicini e costanti che non ci facciano mai perdere sicurezza. Pensare al piano d’azione solamente come un percorso cha va dal punto A al punto B sarebbe come fare un viaggio in cui abbiamo gli occhi bendati dalla partenza fino all’arrivo senza poterci godere tutto quello che c’è nel mezzo. Qualcuno ha detto che la bellezza del viaggio non sta nel traguardo finale ma nell’intraprendere il viaggio stesso ed io non posso che essere d’accordo. Voi come la pensate? Mi piacerebbe ricevere un vostro feedback su questo post. Se così non fosse mi auguro che almeno vi prendiate il tempo per una attenta riflessione!
Ezio Dau


